Alessia Moretti/ilcapoluogo.it

Daniele Segre, regista spesso definito “militante” autore di un cinema di denuncia e di analisi sociale, ha presentato all'Aquila il suo documentario “Morire di lavoro”, un film uscito nel 2008, a cui l'Istituto cinematografico dell'Aquila “La lanterna magica”, ha voluto dedicare uno spazio in occasione dell'approssimarsi della “festa del lavoro”.

Segre, all'inizio della proiezione, ha chiesto ai tanti studenti presenti di ascoltare quanto sarebbe stato detto dai testimoni da lui incontrati per realizzare il documentario che è un continuo avvicendarsi di storie e testimonianze su come si lavora in Italia, soprattutto nel campo dell'edilizia, da Nord a Sud.

Un documentario che richiama, inevitabilmente, alla memoria dello spettatore la recente sentenza sul caso Thyssenkrupp Italia che ha condannato i vertici dell'azienda per il reato di omicidio volontario per la morte sul lavoro i sette operai della linea 5, bruciati vivi la notte del 6 dicembre 2007. Una sentenza storica che non permette più di parlare di “morti bianche”, ma omicidi che possono e debbono essere evitati.

E su questo il regista sottolinea l'indifferenza di chi deve decidere. Indifferenza percepibile nel suo film quando gli operai, stranieri e italiani di Napoli, Brescia, Milano, Torino, raccontano le loro condizioni di lavoro sui cantieri, senza contratti, senza contributi, senza tutele e per questo senza la possibilità di rivendicare i propri diritti e il diritto ad un lavoro in sicurezza.

Questo cosa comporta? Lo leggiamo dai dati Inail che nel 2010 ha stimato 980 i morti sul lavoro in Italia con una flessione del 6,9% rispetto al 2009. Mentre gli incidenti si attestano a quota 775mila: 15mila in meno rispetto all'anno precedente (-1,9%). Le statistiche indicano un miglioramento che però appare insignificante quando quei numeri diventano volti e voci di chi con una telefonata è stato avvertito che il proprio padre, madre o figlio è morto per una caduta da un ponteggio o un'impalcatura, oppure ha perso una gamba o un braccio schiacciato da qualche macchina, oppure è morto senza nemmeno poter essere trasportato da un'ambulanza in ospedale perché lavorava in nero, era straniero ed è stato lasciato morire da solo.

“Morire di lavoro” assume poi altri significati per L'Aquila, definita spesso il più grande cantiere d'Europa e destinata per i prossimi anni ad ospitare centinaia di operai al lavoro tra le impalcature della ricostruzione; ed inoltre, come dice lo stesso regista, il capoluogo abruzzese è stato «testimone e martire» di cosa significa non rispettare le regole nel settore delle costruzioni edili, con gli appalti al ribasso sui materiali e con l'utilizzo di manodopera sottopagata e non tutelata. La casa dello studente un esempio per tutti.

La Redazione
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